domenica 29 marzo 2009

Il megacolon idiopatico nel gatto

Il megacolon idiopatico è una condizione acquisita caratterizzata da dilatazione e diminuzione della motilità dell'ultimo tratto del digerente, solitamente associata a costipazione semplice oppure ostinata, secondaria ad una disfunzione del colon di eziologia sconosciuta.
Si ritiene che la causa di questa patologia sia una disfunzione neuro-muscolare.
Ad essere colpiti sono gatti di età abbastanza variabile, compresa tra 1 e 15 anni, con un valore medio che si attesta attorno ai 5 anni. Non si osserva alcuna predilezione di razza o sesso; però possono essere considerati maggiormente a rischio i gatti obesi e meno attivi.
I segni clinici di megacolon sono rappresentati da costipazione cronica semplice/ostinata con scarsa risposta ai lassativi o agli enteroclismi. Queste manifestazioni possono essere presenti da settimane o anni. L'esame clinico rivela una distensione del colon senza altre anomalie.
Le possibili diagnosi differenziali da prendere in considerazione sono rappresentate da cause di distensione acquisita del colon e costipazione, come la costrizione extraluminale (dovuta a traumi con fratture del bacino), la costrizione endoluminale (per presenza di fecalomi, corpi estranei o neoplasie), la pseudocoprostasi (per grovigli di peli e detriti nella regione perineale che ostruiscono il passaggio di feci), la stenosi del colon o del retto, l'ernia perineale, la dischezia (ovvero defecazione dolorosa, come quella dovuta all'infiammazione dell'area retto-anale), le affezioni neurologiche lombo-sacrali (dovute a traumi, stenosi o deformazioni, come quella del gatto di Manx), l'ipokaliemia, l'effetto di alcuni farmaci (quindi cause iatrogene), come la Vincristina, gli antiacidi, il sucralfato, i leganti del fosforo, gli anticolinergici, gli analgesici e i narcotici, ed infine la disautonomia felina (si tratta di una sindrome degenerativa del sistema nervoso autonomo, nota anche come sindrome di Key-Gaskell).
Anche gli stress ambientali, o le novità oppure l'incapacità ad utilizzare la lettiera (ad esempio per fratture agli arti posteriori, displasia dell'anca, lussazione bilaterale della rotula) possono portare alla diminuzione delle defecazioni ed alla conseguente insorgenza di costipazione e distensione del colon. Per formulare una diagnosi di megacolon idiopatico pertanto è necessario aver escluso tutte le altre possibili diagnosi differenziali di distensione/costipazione del colon appena elencate.
La forma idiopatica difatti non riconosce alcuna causa primaria, ma molti casi di megacolon sono secondari ad altre malattie. Di conseguenza è importantissima l'anamnesi: considerare eventuali modificazioni ambientali, del nucleo familiare o della dieta, se è presente o meno una defecazione dolorosa e se è in atto una qualsiasi farmacoterapia. Inoltre va effettuata una visita neurologica completa, prestando particolare attenzione alla regione perineale.
Bisogna escludere eventuali segni clinici di affezioni lombosacrali, quali diminuzione del tono anale, facilità di svuotamento della vescica mediante compressione, debolezza degli arti posteriori o dolore al sollevamento della coda o alla palpazione dell'area spinale.
In presenza anche di uno solo di questi sintomi vanno effettuate radiografie della colonna vertebrale lombosacrale, con o senza epidurografia. Nei rari casi di disautonomia il riscontro di manifestazioni di una disfunzione autonoma diffusa indica la necessità di un'ulteriore valutazione del sistema nervoso autonomo. Per quanto riguarda le analisi del sangue vanno escluse anomalie dei livelli serici del Potassio, dello stato di idratazione e della funzionalità renale.
Le radiografie invece risultano di estrema utilità per confermare la distensione estesa del colon, la presenza di masse patologiche e corpi estranei, ed eventuali segni di stenosi (distensione fecale del colon nella sua parte craniale, ma non in quella caudale), valutare l'integrità del bacino e del canale pelvico per escludere eventuali fratture ed esaminare l'area lombo-sacrale alla ricerca di anomalie evidenti.
Infine andrebbe effettuato (preferibilmente in sedazione), contemporaneamente alla terapia iniziale un esame rettale, esaminando l'area retto-anale alla ricerca di possibili stenosi rettali, masse patologiche ed ernie perineali.
Indagini diagnostiche collaterali, che prevedono una colonscopia con biopsia ed esame istopatologico, sono senz'altro indicate in quei gatti con un'anamnesi di defecazione dolorosa o nei casi in cui le radiografie o l'esame rettale siano indicativi della possibile esistenza di masse patologiche, stenosi o corpi estranei.
Per quanto riguarda la terapia si riconoscono almeno due fasi: interventi terapeutici primari e secondari.
Innanzitutto infatti, come primo passo nella terapia medica del megacolon, vanno eseguiti clismi e/o l'evacuazione manuale del colon. Anche queste manovre sarebbe preferibile effettuarle col gatto in anestesia. Per clisma si utilizzano 15-20 ml/Kg di acqua calda non saponata e senza ulteriori additivi, proprio per ridurre al minimo l'irritazione e il danno della mucosa. Il volume di liquido da infondere va somministrato ripetutamente sino al completo svuotamento del colon.
Per ottenere i migliori risultati è consigliabile associare ai clismi lo svuotamento manuale, mediante palpazione addominale e manipolazione rettale digitale. Una piccola quantità di lubrificanti idrosolubili contribuisce eventualmente ad una rimozione più agevole delle feci.
Ovviamente durante tutta questa prima fase è essenziale garantire una appropriata idratazione, somministrando fluidi per via endovenosa ad una dose pari a 1 volta e 1/2 il fabbisogno di mantenimento e per almeno 12-24h prima di sottoporre il gatto all'anestesia e al clisma, anche perché in questo modo si facilita senz'altro l'evacuazione.
Altro intervento primario consiste (ma soltanto dietro parere veterinario) nell'utilizzare un agente procinetico (la Cisapride) che aumentando la motilità dell'intestino, si è dimostrato piuttosto efficace in associazione con emollienti fecali, nel trattamento medico del megacolon.
Colonna portante di questa prima fase è poi l'alimentazione. Infatti ricordiamo che l'uso di fibra nella dieta rende più morbide le feci e ne determina un certo aumento di volume, che potrebbe essere utile nel trattamento del megacolon. Attenzione però ad un esagerato tenore di fibra, perché potrebbe determinare un'eccessiva massa fecale, andando a complicare o aggravare la distensione del colon. Ecco perché in genere si consigliano diete facilmente digeribili e poco voluminose, con o senza integrazione di fibra (zucca in scatola, psyllium, crusca integrale, ecc.).
Tra gli interventi terapeutici secondari abbiamo infine sia l'uso di un agente osmotico (il Lattulosio) che richiamando acqua nell'intestino ammorbidisce le feci e può contribuire (soprattutto se associato alla Cisapride) a risolvere dal punto di vista medico un megacolon ostinato.
Laddove però il trattamento medico fallisse in più di 2 o 3 tentativi di seguito, bisognerà ricorrere alla chirurgia, che prevede la cosiddetta colectomia subtotale, ovvero l'asportazione del tratto intestinale interessato dall'abnorme dilatazione.
In merito alla prognosi diciamo che molti gatti possono presentare uno o due episodi di costipazione senza recidive, mentre altri possono sviluppare un'insufficienza completa del colon.
I gatti affetti da costipazione lieve o moderata rispondono in genere ad una terapia medica conservativa, quale ad esempio un diverso regime alimentare, lassativi emollienti o iperosmotici e agenti dotati di effetti procinetici sul colon. L'introduzione precoce di questi ultimi (associati ad uno o più agenti lassativi) può prevenire la progressione della costipazione semplice in costipazione ostinata e in megacolon dilatato.
Alcuni soggetti tuttavia possono divenire refrattari alla terapia medica e mano a mano che la patologia progredisce, richiedere come ultima ratio, l'esecuzione della colectomia. In tal caso la prognosi postoperatoria è generalmente favorevole, sebbene si possa osservare in alcuni casi l'insorgenza di tenesmo nei primi giorni e l'instaurarsi di una diarrea lieve o moderata, di durata variabile dalle 4 alle 6 settimane. Bisogna ricordare tuttavia la possibilità, anche se rara, di complicanze gravi per lo più riferibili a stenosi del tratto operato oppure a deiscenza dell'anastomosi e conseguente peritonite.

giovedì 26 marzo 2009

L'analisi dei transiti: il punto di vista del consultante

Dopo aver elencato nell'ultimo post di argomento astrologico gli handicap degli astrologi, passiamo a considerare oggi i consultanti, principali responsabili (nella maggior parte dei casi) delle deformazioni mentali degli astrologi professionisti.
Nonostante infatti sia indubbio che i progressi dell'astrologia sono tali a livello di serietà, che raramente ormai l'astrologo viene messo sullo stesso piano del cartomante o del veggente, tuttavia l'approccio alla "lettura del futuro" non è cambiato granché: si spera di sentirsi dire "belle cose", si ha paura di quelle "brutte", oppure, più spesso ancora, il consultante ha in mente un problema ben preciso (amore, salute, denaro) ed esige risposte altrettanto precise in merito.
Intendiamoci, nulla di tutto ciò è impossibile, in senso lato. L'occhio esperto del professionista, che già conosce a menadito le posizioni planetarie degli anni a venire, riesce a identificare in pochi secondi l'eventualità di un lungo periodo positivo o di un lungo periodo negativo inciso dai transiti sul tema natale del consultante; ma parlargliene non è affatto facile, per ragioni sia pratiche che teoriche.
Impaurire chi ci chiede aiuto, infatti, sarebbe moralmente riprovevole e tecnicamente incauto, perché l'esperienza insegna come sia abbastanza agevole qualificare i possibili effetti dei transiti e difficilissimo quantificarli. La simbologia di tutti gli elementi zodiacali in gioco (pianeti, segni, case) è così ricca che studiarne tutte le combinazioni possibili richiederebbe forse un tempo superiore a quello necessario al verificarsi del temuto evento.
Anche nell'antica mantica oracolare la "sibillinità" del responso traduceva forse la complessità di questo fenomeno.
C'è poi un altro problema da prendere in considerazione, e che emerge soprattutto nel caso dei transiti positivi: quando il consultante viene ad interrogarci sul futuro, in realtà è completamente immerso nel presente e non è disposto ad accettare ipotesi di sviluppi e cambiamenti che da tale presente si discostino. Sempre in base all'esperienza sappiamo anche che spesso le idee del consultante finiscono bene o male per influenzare quelle dell'astrologo, inducendolo a dubitare delle evidenze planetarie e costringendolo ad elaborare ipotesi alternative.
Oppure ancora ci sono molti professionisti seri, che però costretti a guadagnarsi il pane coi capricci dei clienti, decidono di assecondarli con una sorta di cinica pietà, lasciando che gli eventi seguano il loro corso, anche perché tanto anche dopo che l'evento predetto si sarà infallibilmente verificato, il consultante li liquiderà magari con uno sbrigativo: "avevi ragione"; ma non avrà imparato assolutamente niente da questa lezione astrologica e l'anno seguente ripartirà testardo con una nuova idea fissa...
Il rapporto tra l'astrologo ideale ed il consultante ideale è dunque cosa abbastanza rara e si traduce in un reciproco e fruttuoso scambio di esperienze retto dalla fiducia e, se possibile, dall'intelligenza.
Quando infatti la persona seduta di fronte all'astrologo ha afferrato, pur ignorando i termini tecnici, quale sia l'importanza di una preparazione mentale e spirituale a un periodo esaltante o a un periodo difficile della propria vita, un passo importantissimo sarà stato compiuto e l'utilità dei transiti si tradurrà in un dono inestimabile, che è quello della saggezza.
Esiste infatti un risvolto positivo del terrore della predestinazione che può essere rovesciato come un guanto per affrontare certi momenti cruciali. Ammettiamo ad esempio che una determinata persona viva i transiti negativi di Saturno sul suo Sole natale (anche in base alla ricostruzione di eventi passati) traducendoli in periodi di depressioni esistenziali, ebbene tale persona, una volta identificata la causa astrologica di ciò nel passaggio di Saturno sul Sole, riuscirà ad osservare con distacco tali depressioni, evitando di lasciarsi trascinare nel loro gorgo, in quanto avvertirà una sorta di deresponsabilizzazione e contemporaneamente sa che una volta trascorso il periodo di tempo del transito, gradualmente le cose miglioreranno.
E qui arriviamo ad un punto cruciale per identificare i moltissimi equivoci sorti attorno alla pratica dei transiti: la stragrande maggioranza della gente pensa al futuro come a una serie di eventi che si verificano all'esterno di noi stessi, ed esclude che essi agiscano invece prima di tutto e soprattutto dentro di noi.
Il peso che le nostre qualità, i nostri difetti e le nostre predisposizioni caratteriali hanno sempre avuto, o acquistano temporaneamente, sullo svolgersi di questi "eventi esterni" viene di solito completamente ignorato, o rifiutato se l'astrologo cerca di prenderli in considerazione.
L'astuzia dello Zodiaco, o del destino, che deve comunque compiersi, consiste nel creare delle cecità, o sordità, psicologiche tali da impedire al soggetto di modificare i suoi comportamenti più radicati e determinanti.
Un altro accorgimento zodiacale volto a minare la fiducia nei transiti (facilitando dunque il loro svolgimento) poggia sulla diversificazione degli interessi dei singoli che in alcuni casi si tradurrà con l'affioramento di idee fisse: c'è chi pensa solo all'amore (spesso traducibile in puro sesso), o al denaro, o al successo, o al potere, e chiede, anzi pretende, dall'astrologo che i transiti agiscano solo su quel determinato settore. E se i pianeti muovono invece altre pedine della loro vita, non li prendono nemmeno in considerazione.
Qui occorre segnalare un importante distinguo: i transiti muovono sempre pedine che, sebbene ignorate sul momento, assumeranno in seguito un notevole peso nell'esistenza del soggetto.
Essi sono invece davvero muti, o apparentemente contraddittori, quando sfiorano pedine destinate a rimanere insignificanti per tutta la vita, oppure quando il consultante giudica un evento sulla base del pregiudizio formale, anziché riferirlo alla propria realtà.
Destreggiarsi in questo mare di insidie non è semplice e spesso richiede che l'analisi dei transiti si giochi su due piani: uno lucido, disincantato, rigorosamente tecnico che l'astrologo tiene per sé, ed un altro più sfumato, possibilistico e conversational, come dicono gli inglesi, da fornire al consultante.
Sarebbe ingiusto e sciocco parlare in questo caso di inganno o truffa: l'astrologo professionista infatti, si comporta (e deve comportarsi) come lo psicoterapeuta che, pur avendo individuato dopo poche sedute il nodo cruciale della nevrosi del paziente, se ne guarda bene dal rivelarglielo subito in termini nudi e crudi; ma lo indurrà, dopo mesi o anni, a scoprirlo da sé.
Il massimo dono che un astrologo può offrire al consultante è la presa di coscienza delle proprie responsabilità caratteriali e comportamentali, perché, ardenti sostenitori del libero arbitrio nel campo delle azioni esterne, quasi tutti rifiutano la possibilità, e la necessità, di agire sull'interno di sé. In altre parole si tratta di dimostrare, attraverso pazienti colloqui, quali siano i veri moventi delle "libere azioni" cui ciascuno si abbandona.
Infatti capita raramente che l'individuo voglia davvero ciò che proclama di volere e, mentre sostiene di inseguire il proprio vantaggio, in realtà obbedisce invece al dèmone interiore che gli fa scegliere, poniamo, una catastrofe finanziaria pur di punire con la miseria una moglie odiata.
In altre situazioni, più semplici, la passione per uno dei propri difetti è così irrinunciabile che il soggetto sarà disposto ad affrontarne impavido tutte le peggiori conseguenze, pur di assecondarla.
Questo complesso retroterra psicologico va sempre preso in considerazione nell'analisi dei transiti perché, qualunque sia il tipo di domanda che tali soggetti pongono, i consigli inconsci e inconfessabili del loro dèmone interiore agiranno come intermediari tra lo snodarsi degli eventi e il loro modo di affrontarli ed interpretarli.
Nei casi migliori, e con i progressi dell'astrologia sempre più frequenti, la persona finisce con l'identificare i propri impulsi e può anche decidere di seguirli a suo danno, ma con piena consapevolezza di ciò che fa. Il che, a poco a poco, si traduce in una riduzione degli errori e in una più logica condotta di vita, che dovrebbe poi essere il fine evolutivo di ognuno di noi.
Piaccia o no ai suoi detrattori, o ai consultanti assatanati di previsioni, dunque l'astrologia è soprattutto uno strumento di conoscenza ed una scuola di saggezza!

lunedì 23 marzo 2009

La Peritonite Infettiva Felina o FIP

La peritonite infettiva felina (FIP) è una malattia virale immunomediata a carattere progressivo che colpisce esclusivamente i felini e che, salvo rarissime eccezioni, risulta fatale nell'arco di qualche settimana.
L'agente eziologico è un RNA-virus appartenente alla famiglia dei Coronavirus enterici, ampiamente diffusi e moderatamente patogeni, di cui secondo molti autori costituirebbe una mutazione in vivo. Ovvero nell'apparato gastroenterico di alcuni gatti infetti avvengono mutazioni o ricombinazioni di ceppi di entero-coronavirus (FeCV) endemici, che acquisiscono la capacità di determinare la malattia.
Tale virus risulta relativamente instabile nell'ambiente esterno; ma può rimanere infettante sino a 7 settimane se protetto all'interno della materia organica essiccata o su superfici asciutte. Fortunatamente è sensibile alla maggior parte dei disinfettanti usati comunemente in medicina veterinaria. La trasmissione si realizza solitamente attraverso le secrezioni orali e nasali, ma richiede un contatto prolungato col gatto infetto. Mentre i coronavirus eliminati per via fecale sono altamente infettanti.
All'interno di una popolazione chiusa (quale potrebbe essere una colonia felina), l'incidenza dei gatti infetti è tipicamente variabile fra zero e 80-90%. L'infezione può rimanere silente per mesi o anni, dal momento che il virus può rimanere a lungo in fase di quiescenza. Il risultato finale è comunque influenzato dalla risposta immunitaria del gatto ospite. Si è visto infatti che la produzione di anticorpi specifici per il virus può promuovere la malattia, piuttosto che determinare l'immunità.
A tal proposito sembra che vi sia un'influenza genetica sulla sensibilità individuale nei riguardi della FIP. In particolare si è visto che certi gatti maschi possono trasmettere questo carattere alla progenie. L'infezione enterica in genere comporta solo modesti sintomi gastroenterici autolimitanti dati da vomito e diarrea mucoide; mentre quella sistemica provoca una sindrome clinica con la possibilità di evolvere in due forme distinte che, in alcuni soggetti, possono anche coesistere:
  1. la forma umida o essudativa, con lesioni piogranulomatose all'interno di uno o più organi e la formazione di un versamento essudativo altamente proteico nello spazio pleurico, in cavità peritoneale, nel pericardio o addirittura nello spazio subcapsulare renale, causato da una vasculite da immunocomplessi, è caratterizzata da una scarsa risposta immunitaria cellulo-mediata;
  2. la forma secca o non essudativa, che provoca le stesse lesioni organiche (piogranulomatose o granulomatose) soprattutto a carico del tessuto cerebrale, oculare, renale ed epatico; ma in assenza di versamenti cavitari, è caratterizzata da una risposta immunitaria cellulo-mediata parziale.
Gli organi più comunemente colpiti dalla FIP sono i reni, il fegato, i linfonodi viscerali, le anse intestinali, i polmoni, gli occhi e l'encefalo. I sintomi dunque sono dati dall'interessamento di uno o più di questi organi; ma in tutti i casi si registra perdita di peso, inappetenza e febbre refrattaria alla terapia antibiotica. Inoltre sono comuni ittero, petecchie e pallore delle mucose. Infine, nel caso dello sviluppo di versamenti addominali o pleurici, si osservano distensione addominale e/o dispnea, con respiro superficiale e rapido.
Un segno abbastanza caratteristico di questa patologia, quando presente, è la comparsa di emorragie retiniche. E sempre per quanto riguarda gli occhi, nella forma secca, si ha uveite anteriore e corioretinite. Mentre se le lesioni piogranulomatose interessano il Sistema Nervoso Centrale, si possono avere svariati segni neurologici che comprendono convulsioni, paresi posteriore e nistagmo.
Per quanto riguarda la diagnosi di questa malattia diciamo subito che si tratta, soprattutto per quanto riguarda la forma secca, di una delle malattie più difficili da diagnosticare nell'animale in vita, anche da parte di clinici esperti. Essa va inclusa nell'elenco delle possibili diagnosi differenziali ogni volta che un gatto presenta un quadro cronico di perdita di peso, scarso appetito e febbre. Nei gatti affetti da FIP si riscontrano diverse alterazioni emato-biochimiche, delle urine, del liquor e segni rintracciabili anche tramite la diagnostica per immagini (Rx ed ecografia); ma nessuna è patognomonica.
Per quanto riguarda le analisi del sangue, è abbastanza comune un'anemia normocromica normocitica e arigenerativa accompagnata da una leucocitosi neutrofilica e linfopenia.
In alcuni gatti si ha DIC (coagulazione intravasale disseminata), che determina una diminuzione delle piastrine circolanti (trombocitopenia).
Molto frequenti sono poi le gammopatie policlonali date dall'aumento delle alfa2 e gamma-globuline, mentre più rare sono quelle monoclonali.
Quando ad essere colpito è il fegato si ha iperbilirubinemia con incremento variabile di ALT e ALP. Le alterazioni renali di più frequente riscontro invece sono iperazotemia e proteinuria.

Per quanto riguarda la diagnostica per immagini, si evidenziano, tramite Rx, i versamenti pleurici, pericardici e peritoneali; ma anche l'epatomegalia e la nefromegalia.
A volte l'aumento dei linfonodi meseraici appare sotto forma di una massa unica.

Nel caso di versamenti modesti si può ricorrere all'esame ecografico, che valuterà pure lo stato di pancreas, fegato, linfonodi e reni oltre ovviamente all'eventuale presenza di un versamento pericardico.
I versamenti prelevati dai soggetti con FIP sono di un colore variabile dal trasparente al paglierino, possono contenere frustuli di fibrina e coagulare se esposti all'aria, hanno un p.sp superiore a 1.018 e normalmente sono sterili, con prevalenza di cellule infiammatorie miste (linfociti, macrofagi e neutrofili).
In genere si ricorre all'elettroforesi del liquido di versamento, il cui contenuto in gamma-globuline (maggiore del 32%) può essere discriminante per la diagnosi di FIP, specie se associato ad un rapporto albumine/globuline inferiore allo 0,81.
Purtroppo non esistono test diagnostici specifici affidabili al 100%, in quanto anche la ricerca di anticorpi serici è di utilità limitata, poiché un avvenuto contatto con qualsiasi coronavirus produrrà sempre reattività crociata e pertanto titolo anticorpale positivo per FIP, senza essere diagnostico, né prognostico, in quanto non protegge dalla malattia e non dà informazioni circa la possibilità che il soggetto possa svilupparla.
Inoltre i gatti affetti da FIP a volte sono sieronegativi in seguito a una forma rapidamente progressiva della malattia, con insufficiente produzione di anticorpi, scomparsa degli stessi nelle fasi terminali o per formazione di immunocomplessi.
La diagnosi in vita dunque non può che essere presuntiva, e si basa sulla combinazione dei rilievi clinici e clinico-patologici.

Una recente possibilità, sebbene ancora non alla portata di tutti i laboratori, consiste nell'utilizzo della RT-PCR per l'individuazione dell'RNA virale dai versamenti, dalle feci o da campioni di tessuti degli organi colpiti (prelevati tramite biopsia).
Ma purtroppo il comportamento stesso della patologia non consente quasi mai diagnosi di certezza, in quanto prevede sia guarigioni spontanee che forme fulminanti o asintomatiche, peggiorando anche la confusione relativa alle risposte terapeutiche, che in ogni caso mirano ad essere palliative, con la correzione degli squilibri idro-elettrolitici, la prevenzione delle complicanze batteriche e una blanda terapia immunomodulatrice/antinfiammatoria unita all'uso di farmaci antivirali (interferone, anfotericina B, ecc.) ancora sperimentali in medicina veterinaria.
In genere la prognosi per i gatti con FIP è purtroppo infausta.
Tuttavia, i soggetti sieropositivi non vanno sottoposti, solo per questo, ad eutanasia, perché molti di essi non sviluppano mai la malattia.

Infine va ricordato che, anche se in Italia non si trova, esiste un vaccino intranasale a virus vivo attenuato, la cui efficacia è però solo del 70%, e pertanto se ne consiglia l'uso soltanto in situazioni di comprovata esposizione all'infezione.

Ricordiamo anche che questa malattia si sviluppa con maggior frequenza e facilità in soggetti FIV e/o FeLV positivi, il che sta ulteriormente a dimostrare quanto importanti siano i deficit immunitari alla base della severità dei sintomi. Per chi fosse interessato ad approfondire ulteriormente l'argomento consiglio il sito della Dr.ssa Diane Addie, prof.ssa di Clinica Veterinaria presso l'Università di Glasgow (U.K.), disponibile anche in italiano.

giovedì 19 marzo 2009

Principali indicazioni comportamentali per la castrazione nel cane

In realtà questo argomento è ancor oggi abbastanza controverso e dibattuto, nel senso che non tutti sono concordi nell'individuare come rimedio a determinati disturbi comportamentali tale scelta drastica e senza ritorno.
Ad ogni modo dagli scarsi studi clinici condotti sul tema, risulterebbe che circa il 60% dei cani castrati di età superiore ai due anni, presentano una riduzione del comportamento di monta, delle marcature urinarie in casa, delle fughe e delle aggressioni tra maschi.
Gli effetti secondari segnalati invece consistono principalmente in un aumento di peso e dell'appetito, e in una diminuzione dell'attività.
In ogni caso quando la castrazione è indicata come rimedio a disturbi comportamentali, essa non sarà mai l'elemento fondamentale e dovrà sempre essere affiancata da una terapia medica e/o comportamentale.
Il proprietario inoltre, dovrebbe essere informato sul fatto che la castrazione avrà probabilmente solo un effetto palliativo, o addirittura nullo, e che presenta ovvi effetti secondari dovuti all'eliminazione della componente ormonale maschile in toto o in parte.
Le indicazioni comportamentali della castrazione sono comunque abbastanza limitate.
Intatti le situazioni in cui dovrebbe essere presa in considerazione come prima ratio, a condizione di praticarla precocemente alla comparsa dei primi sintomi, sono le marcature urinarie in casa (anche di origine ansiosa), il comportamento di monta (in genere questi due sintomi sono accompagnati da una sociopatia che va adeguatamente ricondotta entro limiti accettabili) e le fughe legate alla presenza di femmine in calore nelle immediate vicinanze.
Spesso la castrazione viene richiesta dal proprietario o consigliata da molti veterinari anche come prima misura terapeutica in caso di comportamenti aggressivi, ma in questo caso i risultati sono quasi sempre deludenti.
Infine potrebbe rivelarsi utile in alcuni casi, nella cosiddetta triade delle sociopatie (aggressione gerarchica, territoriale e per irritazione); ma anche qui soltanto se viene praticata precocemente, subito dopo la pubertà (o, ancor meglio, subito prima).
In effetti il testosterone (principale ormone androgeno prodotto dalle gonadi maschili) ha un ruolo importante nello sviluppo e nel rinforzo delle aggressioni di questo tipo al momento della pubertà, per poi divenire secondario.
Ciò spiegherebbe la mancata efficacia della castrazione nella maggior parte delle aggressioni da sociopatia, dato che la richiesta di trattamento si verifica di solito dopo la pubertà.
In caso di sociopatia intraspecifica (tra cani), che si manifesta al momento della pubertà del l'animale, o di disendocrinia sessuale, è necessario dunque, oltre a castrare il soggetto interessato, sterilizzare anche gli altri individui del gruppo, per non rischiare di aggravare il problema.

Nel caso di aggressioni tra maschi, al di fuori dell'ambito domestico, i risultati sono migliori se i combattimenti sono scatenati dalla presenza di una femmina in calore.
Le altre forme di aggressività rispondono poco o affatto alla castrazione.
Pertanto è inutile, in questi casi, prenderla in considerazione come soluzione terapeutica.

E poi, in ogni caso, non ci si deve mai attendere alcun risultato se i sintomi del disturbo a cui si vuole ovviare con la castrazione, sono di vecchia data o se le aggressioni sono strumentali, poiché tali comportamenti, ancora una volta, non sono esclusivamente di natura ormonale.

Da tutto quello che si è detto fin qui si deduce che la castrazione ha indicazioni davvero ridotte e, anche in questo quadro ristretto, i risultati rischiano di rimanere aleatori.
Inoltre, se si vuole ottenere una maggiore percentuale di successo, è assolutamente indispensabile effettuarla al momento della comparsa dei sintomi, associandola ad una terapia medica e comportamentale.