lunedì 18 agosto 2008

Epilessia, sindromi convulsive e convulsioni nel cane e nel gatto

Nonostante l'impatto sociale rivesta sicuramente un peso differente rispetto alla stessa patologia umana, le epilessie sono comunque un problema spinoso della neurologia dei carnivori domestici, sia per la violenza delle manifestazioni che per la cronicità che le caratterizza a causa della quale si complica il rapporto animale-proprietario sino allo scadimento della qualità di vita di entrambi.
La stessa definizione di epilessia in campo veterinario presenta non poche problematiche, in quanto esiste una notevole confusione a partire dalla terminologia usata, nata dall'esigenza di non applicare pedissequamente e alla cieca gli stessi termini usati in umana, per cui a volte ne sono stati utilizzati altri spesso fuorvianti.
Da un punto di vista eziopatologico l'epilessia è caratterizzata da manifestazioni neurologiche che denotano uno stato di sofferenza cerebrale dei neuroni della corteccia dell'encefalo anteriore e di altre aree sottostanti, soggetti ad attività elettriche parossistiche improvvise, eccessive, disordinate e afinalistiche, spesso autolimitanti cui consegue una estrema varietà di sintomi (a seconda dell'estensione e localizzazione dell'area cerebrale interessata), ma di solito associata a diversi gradi di depressione del sensorio, modificazioni del tono muscolare e dei movimenti, perturbazioni sensoriali con possibili conseguenti alterazioni comportamentali e disturbi neuro-vegetativi (ipersalivazione, minzione e defecazione involontarie).
Sebbene il quadro clinico si presenti spesso misto, solitamente il sintomo predominante più frequente oltre che impressionante è una crisi motoria generalizzata e pertanto il termine più usato in questi casi è quello di convulsione o crisi convulsiva.
Per parlare di epilessia propriamente detta però occorre la ricorrenza delle crisi, per cui è sbagliato usare tale termine per descrivere un singolo episodio.
A questo proposito, da un punto di vista clinico, le crisi possono essere differenziate in:
-crisi parziali o incomplete (con allucinazioni ed alterazioni dello stato di coscienza)

-crisi generalizzate (la tipica crisi motoria generalizzata con contrazioni tonico-cloniche della muscolatura scheletrica e sintomi neurovegetativi associati, la cui durata complessiva non supera di solito 30-60 secondi)

-crisi a grappolo (per crisi a grappolo si intendono crisi multiple nell'arco di 24 ore; ma intervallate da momenti di normale stato di coscienza)

-stato epilettico (per stato epilettico si intende una serie di crisi della durata di almeno 15-30 minuti, oppure convulsioni ripetute nell'arco di 30 minuti, senza ripresa dello stato di coscienza).
Sappiate che sia lo stato epilettico che le crisi a grappolo, dal momento che possono causare gravi sequele neurologiche sino al decesso del paziente, rappresentano una seria emergenza che richiede spesso l'ospedalizzazione ed un trattamento specifico, con un attento monitoraggio delle funzioni organiche per almeno 24-48 ore, come per la gestione di un traumatizzato.
E' importante ricordare però che non siamo assolutamente in grado di mettere in correlazione il tipo di crisi con la causa scatenante.
In generale le convulsioni infatti possono essere scatenate da varie cause, che si possono racchiudere in 3 gruppi principali:
1)-ingestione di sostanze tossiche (avvelenamento da Organofosforici, Organoclorurati, Piombo, Stricnina, Metaldeide, Glicol-etilenico, ecc.).
Si caratterizzano dall'esordio acuto, catastrofico, non progressivo e di solito autolimitante.

2)-patologie metaboliche (cause extracraniche): ipoglicemia, ipocalcemia, iperpotassemia, ipossia, encefalopatia epatica, sindrome uremica, carenza di alcune vitamine (in particolar modo della B1 o tiamina), malattie degenerative e da accumulo (gangliosidosi, mucopolisaccaridosi, ecc.), patologie endocrine (ipotiroidismo), parassiti intestinali (ascaridi, coccidi).

3)-patologie neurologiche (cause intracraniche): neoplasie (meningiomi, gliomi, ependimomi, metastasi, ecc.), infezioni virali (cimurro, rabbia, pseudorabbia, FIP) o batteriche (ascessi), infiammazioni (meningiti, encefaliti, ecc.), traumi recenti o remoti, parassiti localizzati nel SNC (toxoplasma, leishmania, neospora, criptococcosi, ecc.), alterazioni vascolari (ischemie, emorragie, policitemie), anomalie congenite (idrocefalo, lissencefalia, ecc.).
Quando non si riesce a identificare con precisione una causa si parla di epilessia idiopatica o essenziale, per cui si è costretti a curare soltanto la sintomatologia, ovvero a tenere sotto controllo le crisi.
In ogni caso prima di arrendersi a questa evenienza bisognerebbe, per quanto possibile, stabilire una diagnosi eziologica.
In particolare è importante comprendere se il paziente abbia una patologia intra o extracranica e se siamo di fronte ad una patologia progressiva o meno.
Per l'esclusione di una patologia extracranica occorre un esame emato-biochimico completo, associato talvolta alla determinazione degli acidi biliari pre e post-prandiali ed un esame completo delle urine, tutti volti a svelare eventuali problemi metabolici o alterazioni compatibili con stati infiammatori o neoplastici.
Esami più approfonditi (dosaggi ormonali e anticorpali, prove di funzionalità, ecc.) vengono consigliati in seguito, a seconda delle diagnosi differenziali prese in esame.
L'elettroencefalogramma, che è alla base della diagnosi delle epilessie, purtroppo trova scarsa applicazione nella pratica routinaria, per la mancanza della sua disponibilità nelle strutture veterinarie.
Esami Rx o ecografici dell'addome e Rx toraciche possono invece risultare utili in pazienti come quelli anziani, per escludere metastasi cerebrali in partenza da tumori primitivi localizzati in altra sede. Solo in seconda battuta si ricorrerà, per il riconoscimento di una lesione localizzata a livello cerebrale, alla TAC od alla Risonanza Magnetica con relativo esame del liquor cerebro-spinale.
In quest'ultimo caso si tenderà ad escludere patologie cerebrali attive (encefaliti, tumori primitivi o metastatici, malformazioni, ecc.) cioè patologie che, se non trattate precocemente, possono aggravare notevolmente la prognosi e patologie cerebrali non attive o non progressive, che al contrario non richiedono un trattamento specifico oltre al trattamento delle convulsioni (epilessia c.d. primaria, esiti di traumi o di lesioni vascolari).

Purtroppo la gravità e la frequenza delle crisi può tendere a peggiorare anche in questi ultimi casi.
L'approccio diagnostico standard pertanto prevede nell'ordine:
-esame emocromocitometrico e biochimico -analisi delle urine
-radiografie torace e addome
-ecografia addome

-esame del liquor cefalo-rachidiano

-sierologia.
In casi particolari poi è addirittura possibile evitare la diagnostica per immagini (rx ed ecografie, per non parlare di TAC e RNM) ovvero in quei pazienti con segni clinici multifocali o sistemici di infezione, perché in tal caso si può, attraverso i soli esami emato-biochimici e sierologici, confermare l'ipotesi infettiva formulata, oppure nel caso di pazienti che abbiano crisi da più di un anno in presenza di un esame neurologico normale, perché allora si può tranquillamente escludere una patologia progressiva (neoplasie, encefaliti, ecc.) in quanto nessuna avrebbe un decorso così lungo senza un'evoluzione peggiorativa eclatante.
Per quanto riguarda la terapia ricordiamo che lo scopo principale del trattamento è comunque quello di ridurre la frequenza delle crisi, avendo come obiettivo accettabile la presenza al massimo di una crisi lieve ogni 2 mesi e mai crisi multiple.
Obiettivo secondario, ma altrettanto importante è poi quello di contenere la tendenza di ogni paziente epilettico di aumentare col tempo il numero e la frequenza delle sue crisi.
Per far ciò abbiamo a disposizione principalmente due sostanze: il fenobarbitale che rappresenta sempre e comunque il farmaco di prima scelta sia nel cane che nel gatto e poi il bromuro di potassio (nel cane) o il clonazepam (nel gatto), raramente in monoterapia, più spesso associati al primo nei casi di assuefazione al barbiturico o per consentirci di ridurne il dosaggio in caso di intossicazione.
Il fenobarbitale infatti tende col tempo ad accumularsi nell'organismo, a causa della saturazione delle capacità di detossificazione epatiche (la funzionalità epatica andrebbe monitorata col tempo, valutando eventuali variazioni di AST, i livelli serici di Acidi biliari a digiuno e la bilirubinemia).
Pertanto sarebbe opportuno già dopo una-due settimane dall'inizio della terapia o comunque in ogni caso di sedazione eccessiva, controllare i livelli della fenobarbitalemia, effettuando il prelievo di sangue 4-8 ore dopo la somministrazione di una delle due dosi quotidiane.
Ricordiamo che vanno considerate tossiche dosi di fenobarbitalemia superiori a 40μg/ml nel cane e a 30μg/ml nel gatto.
Qualora la risposta clinica sia inadeguata è possibile inoltre aggiustare la dose del farmaco (riducendola o aumentandola del 30% circa) secondo la seguente formula:
NUOVA DOSE di Fenobarbitale x OS/die =
(concentrazione desiderata) x (dose attuale/die di fenobarbitale)
: ( concentrazione attuale)
Qualora però all'aumentare dei livelli serici della fenobarbitalemia non corrispondesse un ragionevole controllo delle crisi, sarà necessario aggiungere il secondo farmaco, che nel cane è il bromuro di potassio e che non esiste come farmaco già pronto in commercio; ma va fatto preparare "magistralmente" al farmacista, in una soluzione acquosa al 25%.
Questo secondo farmaco si può usare però solo nel cane, dove rispetto al primo ha un'ottima tollerabilità e una tossicità epatica pressoché assente (in quanto ha un metabolismo principalmente renale), tanto che il primo monitoraggio può essere fatto a 4 settimane dall'inizio della sua somministrazione.
L'unico effetto collaterale in caso di sovradosaggio in questa specie è infatti un'eccessiva sedazione, comunque rapidamente reversibile con la sospensione del farmaco e la fluidoterapia di sostegno.
Ricordiamo a questo proposito che il suo metabolismo varia in funzione dell'assunzione di cibi a basso contenuto di cloro, i quali predispongono al bromismo, modificando la sua eliminazione renale; mentre al contrario cibi ad alto contenuto di cloro possono indurre la ricomparsa di crisi.
Anche per esso, nel caso sia necessario ritoccare il dosaggio iniziale, esiste una formula con cui calcolare la nuova dose, che è la seguente:
mg da aggiungere alla dose attuale =
(concentrazione desiderata) - (concentrazione attuale) x 0,02

Nel gatto il bromuro di potassio invece non si può usare perché dà luogo a complicazioni respiratorie anche serie; in questa specie si ricorrerà allora ad una benzodiazepina: il clonazepam.
Va ricordato poi che tali farmaci, essendo classificati come stupefacenti, devono essere per legge opportunamente ricettati dal medico veterinario e che la ricetta (non ripetibile) consente di acquistare unicamente un quantitativo di farmaco necessario a coprire 30 giorni consecutivi di terapia, quindi la quantità del farmaco prescritto dovrà essere commisurata alla durata del trattamento e la ricetta rinnovata ad ogni prescrizione.

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