martedì 6 maggio 2008

Il cane aggressivo (prima parte)

La convinzione popolare che vede il cane aggressivo come un cane cattivo, o magari, dominante e responsabile di atti scientemente malvagi, è ovviamente errata. Infatti il cane aggressivo è ben altro. Anche perché l'aggressività ha molte sfaccettature, non sempre ovvie.
Intanto bisogna distinguere le differenti motivazioni che spingono un cane a reagire aggressivamente: vi può essere un comportamento difensivo o offensivo, controllato oppure no, e anche il morso può avere caratteristiche molto diverse, può essere un morso di avvertimento, appena pizzicato, oppure trattenuto e deciso, può anche essere dolce e affettuoso, come per aiutare le persone in caso di bisogno, o per attrarre la loro attenzione verso qualcosa.

Certo è che ogni cane ha in dotazione gli strumenti efficaci per mordere; ma ci siamo mai chiesti come mai la maggior parte delle aggressioni e delle morsicature, riguardano più spesso il cane di famiglia, o comunque un cane ben conosciuto dalla vittima? Raramente infatti i cani randagi si rendono responsabili di tali episodi. La maggior parte dei morsi avvengono proprio in ambiente domestico, meno frequentemente in luoghi pubblici! Incidenti ovviamente sono sempre possibili; ma dobbiamo renderci conto che c'è un nesso tra la frequenza di aggressioni da parte di cani nei confronti degli esseri umani e il fatto che queste ultime avvengano, guarda caso, in contesti di vita quotidiana, all'interno di un'abitazione o del giardino condominiale, piuttosto che in aperta campagna o in un bosco.

Cominciamo col delineare alcuni punti fissi e soprattutto sfatando molti miti che circolano sull'argomento.
Intanto in etologia la definizione di aggressione comprende oltre all'atto fisico contro l'equilibrio psico-fisico della vittima, anche la semplice minaccia e comunque ogni comportamento che abbia come risultato quello di obbligare un altro individuo a mantenere una distanza, sia spaziale sia sociale (gerarchia), anche se non ne consegue un danno fisico diretto.
Ma questa definizione si ferma alle sole aggressioni offensive.

Come considerare allora il cane che utilizza il morso per difendersi? In tal caso esso tenta di preservare il suo di equilibrio, non di ledere quello altrui. Forse sarebbe più corretto allora definire il comportamento aggressivo come una sequenza di atti che minaccia di condurre, o conduce, ad uno scontro fisico o psicologico dannoso e/o a un evento potenzialmente pericoloso (come una zuffa) anche senza intenzione di nuocere.

Vediamo ora di chiarire alcuni termini di uso comune, per capire quando li usiamo correttamente oppure a sproposito.
Aggressione: è il comportamento che reca, o il cui scopo apparente è quello di recare, danno all'integrità fisica (e/o psichica) o alla libertà di un altro individuo.
Aggressività: è la motivazione all'aggressione; è anche la terminologia comunemente usata per designare i comportamenti aggressivi.
Aggressivo: è il cane che si trova in uno stato di motivazione emozionale o cognitiva (intellettiva) che comporta un'alta probabilità di produrre comportamenti aggressivi.
Cattiveria: è un termine antropomorfico che è davvero improprio adoperare in questo contesto, perché sottintende un'intenzione di malanimo, aspetto difficile da ammettere in un cane, sia per il suo livello di intelligenza, sia per le nostre insufficienti capacità di comprendere le reali motivazioni che guidano il suo agire.
Disobbedienza: è il rifiuto ad obbedire a richieste che il cane sente, vaglia e comprende e alle quali ha già obbedito in altre circostanze. La disobbedienza è legata più che altro a problemi di motivazione e di tecnica, e non come si tende a credere a problematiche gerarchiche: un cane dominante infatti obbedisce molto bene se le conseguenze del suo obbedire sono positive.
Dominanza: per definizione è la capacità di ottenere privilegi e difenderli. Per far ciò il cane usa posture alte e comportamenti ritualizzati, di fronte ai quali i cani dominati si sottomettono. Può al limite anche ricorrere a comportamenti d'aggressione, detti in tal caso competitivi o gerarchici.
Pericolosità: è la stima del pericolo, del rischio di riportare un trauma (psicologico e fisico) per una vittima potenziale. Tale pericolosità è legata si al morso in sé per sé; ma anche a delle semplici spinte date col corpo o ad altri comportamenti messi in atto dal cane, per cui è legata anche alla stima del rapporto che intercorre tra la mole dell'aggressore e quella della vittima.
Un cane è definito pericoloso quando mette in pericolo l'integrità fisica e/o psichica di un essere umano o di un altro essere vivente, cane o altro animale che sia.
La pericolosità dunque è una nozione antropocentrica necessaria per il rispetto e la salvaguardia dell'incolumità pubblica e familiare, ma può essere calcolata per ogni altro essere vivente che il cane minaccia.
Sottomissione: è la capacità da parte della vittima di bloccare l'aggressione nel corso dell'attacco e di evitare morsi gravi, mediante il ricorso a posture (tipicamente basse), mimiche e rituali non aggressivi, che fungono da segnale di calma immediata.
La posizione tipica del cane sottomesso è sdraiarsi sulla schiena, immobile, col collo esposto all'avversario, lo sguardo distolto e gli arti posteriori leggermente divaricati.

Ora facciamo un passo indietro e consideriamo per un attimo l'origine del cane domestico così come lo conosciamo oggi. Dobbiamo infatti pensare che esso è il risultato di una pressione selettiva enorme esercitata dall'uomo, che è iniziata più di 10.000 anni fa sul suo antenato e che è tuttora in atto.
Ho voluto fare questa premessa per sottolineare che anche l'aggressività fa parte di un patrimonio comportamentale tipico di questa specie che se da un lato ha una sua originaria ragion d'essere, perché è quella che ha permesso alla specie e all'individuo di sopravvivere sino ad oggi, dall'altra ha subito profonde modificazioni ad opera dell'intervento dell'uomo, che ha determinato, direttamente o indirettamente, l'eliminazione di determinanti evolutive che in natura avrebbero condotto probabilmente verso altri risultati.

Quindi se da una parte l'uomo per la domesticazione ha selezionato alcuni cani dando la preferenza alla loro docilità e socievolezza, dall'altra paradossalmente ha tolto loro, in certi casi, i meccanismi di regolazione dell'aggressività, facendone cani potenzialmente pericolosi.
Da questo punto di vista diventa essenziale il ruolo dell'etologia applicata e della medicina comportamentale, che ci aiutano a comprendere il comportamento aggressivo e ci offrono il metodo corretto per approcciare il problema e tentare di gestirlo nel migliore dei modi.
Per quanto riguarda il percorso diagnostico da seguire in caso di cani aggressivi, come prima cosa va considerato il tipo di aggressività che stiamo esaminando.

Innanzitutto cioè dobbiamo porci il problema se si tratti di aggressività patologica o fisiologica, ovvero se sia etologicamente spiegabile o invece preveda dei meccanismi alterati e quindi delle patologie psicologiche o fisiche sottostanti.
E di conseguenza dobbiamo chiederci chi è la persona meglio qualificata per la sua gestione.
Se il proprietario stesso, a cui basterebbe semplicemente modificare, in determinati contesti, il modo di contenere il cane (tramite ausili semplici come guinzaglio e/o museruola) o evitando del tutto certe situazioni a rischio, oppure invece si renda necessario l'intervento di un veterinario, comportamentalista o meno, che sappia riconoscere eventuali patologie fisiche e/o psichiche e quindi possa prescrivere la terapia adeguata al caso in questione, o invece si tratti della necessità di un intervento a monte, laddove l'allevatore debba intervenire sulla genetica dell'aggressività stessa, oppure infine si renda indispensabile il ricorso ad un addestratore che insegni determinati comandi per tenere a freno la naturale aggressività del cane.

Insomma come si può ben immaginare spesso la questione non è affatto semplice e la complessità determina la difficoltà di comprensione, per cui dovremmo agire idealmente prevenendo e prevedendo, attraverso il così detto metodo prospettivo, e non retrospettivamente, quando cioè il cane ha già aggredito e morso.
Come si tende a dire generalizzando in medicina è sempre meglio prevenire che curare e ovviamente anche in questo caso la prevenzione è senz'altro più utile e più interessante al fine di evitare conseguenze serie anche gravi.
Purtroppo ancora non esiste un metodo universalmente valido che permetta di stabilire in anticipo senza errori, se un cucciolo da adulto sarà aggressivo o meno.
L'aggressività di un individuo dipende infatti da troppi fattori per riuscire a controllarli tutti: il patrimonio genetico dei genitori, le ripercussioni di eventi avvenuti durante la gravidanza, la socializzazione primaria (cioè quella che avviene prima dei 3 mesi di età), la successiva socializzazione secondaria (dai 3 ai 5 mesi), l'educazione impartita dalla madre e dagli altri cani adulti al cucciolo, l'ambiente in cui esso crescerà, gli incidenti e le avversità della vita quotidiana, gli incontri sociali positivi o negativi, le malattie, ecc.

Da tutto ciò quello che possiamo obiettivamente e razionalmente affermare è che il cane è un predatore, capace di uccidere prede più grandi di lui e quindi se si desidera la garanzia al 100% che esso non morda mai nessuno, allora bisogna prendere la decisione irrevocabile di sceglierne uno...di peluche!
Purtroppo infatti ogni cane, anche quello apparentemente più innocuo, rischia potenzialmente, prima o poi, di mordere durante il corso della sua vita.
Certo quello che possiamo tentare di fare noi è di ridurre ragionevolmente il rischio che ciò accada, intervenendo a vari livelli e comunque preferibilmente prima che ciò avvenga.

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