lunedì 31 marzo 2008

Il microchip: perché e per come

Si tratta di un piccolo dispositivo elettronico innocuo anche noto come animal coder, di forma cilindrica (11 millimetri di lunghezza x 2,1 millimetri di diametro), rivestito esternamente da materiale biocompatibile, che si basa su un sistema di trasmissione a radiofrequenza (RFID) che viene inoculato sottocute al cane (a sinistra, nella regione del collo per i paesi Europei e nella zona interscapolare per quelli extraeuropei) tramite una speciale siringa sterile monouso da parte di un veterinario appositamente autorizzato (libero professionista o dipendente Asl). A tal proposito mi preme qui sottolineare che l'applicazione del microchip è un atto di pertinenza unicamente veterinaria, come sancito dalla legge, e chi viola questa norma commette reato di abuso di professione.
A partire dal 1° Gennaio 2005 tale metodo identificativo, che ha sostituito il vecchio tatuaggio, è l'unico valido e riconosciuto per la registrazione all'Anagrafe canina nazionale , una banca dati su scala nazionale appunto, alimentata dalle singole anagrafi regionali, nata dalla duplice esigenza di combattere il triste fenomeno del randagismo e di rintracciare agevolmente il proprietario di un cane eventualmente smarrito o sottratto indebitamente, l'iscrizione alla quale è doverosa oltreché obbligatoria per legge e deve avvenire contestualmente all'apposizione del microchip stesso.
Inoltre è l'unico metodo di riconoscimento universalmente accettato anche per altri animali da compagnia e anzi indispensabile per il rilascio del passaporto necessario per i viaggi al di fuori del paese di appartenenza.

Vediamo più da vicino com'è fatto e come funziona un micro-transponder, che poi sarebbe il veicolo del microchip stesso.

All'interno dell'involucro che lo riveste, assieme ad un condensatore e ad un'antenna, c'è il microchip vero e proprio, preprogrammato con un codice numerico inalterabile, che identifica così inequivocabilmente l'animale a cui è stato impiantato.
Esso non ha una scadenza, dal momento che non richiede nessuna fonte di energia interna; ma viene attivato da un apposito lettore ottico o scanner, in dotazione alle autorità veterinarie competenti, sfruttando il campo magnetico generato dal lettore stesso.

Esternamente all'involucro di vetro sono generalmente applicati dei dispositivi antimigratori, costituiti da un ulteriore involucro di propilene che riveste per metà la capsula di vetro, o da solchi sulla superficie dello stesso vetro che costituisce l'involucro.
Ovviamente esistono degli standard e dei requisiti ben precisi che il produttore e l'utilizzatore finale sono tenuti a rispettare per legge.
Intanto il codice numerico attualmente in vigore risponde allo standard FDX-B (Full-Duplex di seconda generazione), ovvero prevede l'utilizzo di 15 cifre in grado di consentire (con l'identificazione del paese e del fornitore) ben 274.877.906.944 combinazioni differenti.
Ogni confezione di microtransponder deve essere dotata di 8 etichette adesive riportanti il numero d'identificazione ed il codice a barre corrispondente, allo scopo di verificarne la lettura con l'apposito scanner ottico che, a sua volta, deve essere FULL-ISO, ovvero in grado di leggere i transponders appartenenti a tutti gli standard utilizzati a livello mondiale.

Questo perché prima dell'impianto è sempre bene verificare la buona leggibilità del microtransponder contenuto nella siringa e la corrispondenza col codice riportato sulla sua confezione e poi soprattutto bisogna escludere che il cane a cui si sta per impiantarlo ne abbia già un altro.
Per quanto riguarda i proprietari degli animali, interessati ovviamente al loro benessere, vorrei chiarire che, nonostante le dimensioni apparentemente notevoli dell'ago, la sua superficie di taglio piuttosto obbliqua rende facile ed indolore il procedimento che pertanto è totalmente assimilabile ad una qualsiasi iniezione sottocutanea e dunque non richiede alcuna anestesia (al contrario di quanto si rendeva spesso necessario invece per il vecchio tatuaggio).

L'unica raccomandazione è quella di evitare di toccare la sede d'impianto nelle successive 24-48 ore, per non correre rischi di retrocessione e conseguente espulsione all'esterno del microtransponder attraverso la breccia creata dall'ago.
Col passare dei giorni la chiusura della breccia e la fissazione del microchip ai tessuti circostanti dovrebbe evitare eventuali rischi di migrazioni anomale.
In ogni caso c'è sempre la possibilità di rintracciare il microchip migrato in altra sede attraverso una semplice RX.

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